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Don Caló: Tignusi e Gattopardi 

A Villa Corbera Palmaris la storia si intreccia con la leggenda, nasce un avvincente racconto che dopo 400 anni chiarisce un mistero unico della beata Corbera. ( matri Crucifissa)​Si “ Cunta e si ricunta “, che in un tempo lontano un animaletto tanto innocuo quanto misterioso abitasse alla base di una cavità di una Palma della Villa Chiaramontana.............
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 “ Villa Corbera Palmaris “. Era un geco, chiamato “ Don Calò “ dal principe Don Fabrizio. Don Calò, la notte, lasciava la sua dimora per recarsi nei soffitti della villa a tenere compagnia al Principe. Maria Stella Corbera, figlia della Sicilia e delle leggende che avvolgevano i gechi, alla sua presenza fuggiva nelle stanze segrete, lontana da Don Fabrizio, suo marito, lontana dai suoi segreti più reconditi. Il geco camaleontico, maculato, immobile, fissava l’obiettivo e con scatti fulminei, una, due, cento, mille prede ingoiava e lasciava serene le notti del Principe. E’ cosi che iniziavano le lunghe e misteriose conversazioni tra il Principe e Don Calò, nessuno era conoscenza dei segreti svelati in quelle camere sgombere da orecchie e occhi indiscreti. Un mistero avvolgeva i folli monologhi di Don Fabrizio, cosi raccontava la servitù che origliava con bramosa curiosità, mai poteva immaginare che Don Fabrizio dialogasse con l’amico Don Calò. In una notte di mezza estate, quando la calura scioglieva anche le pietre e faceva sudare perfino i marmi della villa, la servitù ascoltò una storia che lasciò tutti nel terrore. Su quella storia si ammutolirono, non furono in grado di ironizzare sulla presunta pazzia di Don Fabrizio, l’uomo che parlava con i gechi.
Il Diavolo era entrato nelle conversazioni notturne tra Don Calò e il Principe. “ Tignusu “ raccontò a Don Fabrizio che un suo trisavolo aveva salvato da morte certa la Beata Corbera, madre Crocifissa della Concezione, al secolo Isabella Tomasi.
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La suora, perla indiscussa di una famiglia di alto rango, donna devota a Dio, aveva tanti doni, tra questi quello della ubiquità. Figura mistica, tormentata e vessata costantemente dalla presenza del Demonio.Isabella Tomasi, suora Benedettina, si dice, dormisse in una delle secrete celle del Monastero. Sovente riceveva visite dal demonio in persona, il quale la tentava in ogni modo, si dice anche che spesso la picchiasse. Una notte il diavolo consegnò alla monaca una lettera, un foglietto scritto con caratteri indecifrabili, imponendole di firmarla. Suor Crocifissa avendo compreso il contenuto della lettera invece di firmarla, scrisse “ohimè”. Lucifero inferocito per il diniego scagliò un grande sasso contro la Beata con l’intento di ucciderla. Gli Angeli, in soccorso della suora, spalancarono la finestra della cella dalla quale entrò furtivo un “Tignusu“, il trisavolo di Don Calò. La suora, spaventata alla vista del geco, repentinamente scappò via e lasciò la cella, schivando miracolosamente il sasso e sfuggendo inconsapevolmente alla morte che il demonio le aveva riservato.Don Calò aveva svelato a Don Fabrizio uno dei misteri che ancora oggi avvolge la Sicilia e la storia della Famiglia Tomasi. “ Favula ditta e favula scritta, diciti la vostra ca la mia è ditta “Autori: ABES

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